Usciremo diversi da questa crisi? E come?

Nota Isril n. 10 – 2020 ►

Lo Stato di fronte a un percorso avventuroso da compiere tra Scilla, colei che dilania, e Cariddi, colei che risucchia.

di Giuseppe Bianchi

C’è una profezia in campo: da questa crisi usciremo diversi. Perché dovrebbe avvenire e come? Alle nostre spalle ci sono state crisi finanziarie devastanti, terremoti, cataclismi climatici senza che si sia modificato qualcosa, al di là di emozioni collettive del momento. La macchina finanziaria ha proseguito nella sua marcia trionfale e agli sconvolgimenti della natura abbiamo reagito con interventi locali di riparazione dei danni. Eventi traumatici che toccando, di volta in volta, territori e gruppi sociali diversi, non hanno scalfito lo scaramantico ottimismo di farla franca né modificato un’opinione pubblica preoccupata soprattutto di difendere un benessere calante, tanto faticosamente costruito.

Ora che cosa è cambiato? Per la prima volta ci troviamo coinvolti in una pandemia che non risparmia nessuno: tutti egualmente esposti al coronavirus ed è cambiato bruscamente il nostro stile di vita e il rapporto con il mondo esterno. Siamo relegati in una solitudine inquieta che tronca i nostri rapporti sociali nel sospetto dell’“untore” che può essere in noi. Accettiamo una mutilazione dei nostri diritti individuali, siamo governati per decreto, ci asteniamo dal lavoro compromettendo il nostro reddito presente e forse futuro, assistiamo alla chiusura delle frontiere che blocca la mobilità delle persone e delle merci, la conquista più importante del per quanto incompiuto processo di integrazione europea.

Si può allora argomentare che sussistono le condizioni per uscire diversi da questa crisi.
Ma in che modo diversi? Si può presumere che usciremo diversamente diversi. La crisi è destinata ad accentuare le diseguaglianze tra i paesi e tra i gruppi sociali all’interno dei singoli paesi. Ciascun paese utilizzerà la potenza di fuoco diversamente disponibile a tutela della salute dei suoi cittadini, in funzione della sua forza economica e dell’accumulazione di risorse pubbliche. All’interno dei singoli paesi si divaricheranno le capacità di autotutela dei diversi gruppi sociali in funzione della diversa ricchezza familiare e delle divergenze di status che penalizzeranno, ancor più, quei lavoratori marginali, immigrati e italiani precari, che sono parte del nostro benessere di massa.

È naturale che nell’emergenza che si è creata tutti i portatori di interessi colpiti dalla crisi si rivolgano allo Stato quale assicuratore di ultima istanza. Una situazione difficile per il nostro Stato indebitato e fiaccato nella sua classe politica e amministrativa pubblica. Lo attende un percorso avventuroso da compiere tra Scilla (colei che dilania) e Cariddi (colei che risucchia): deve aumentare la spesa pubblica per evitare il collasso del sistema ma, nello stesso tempo, evitare un indiscriminato assalto alla diligenza pubblica che allarmerebbe i mercati finanziari sulla solvibilità del nostro debito pubblico accrescendo i costi del suo rifinanziamento; deve recuperare la dimensione nazionale che è fatta non solo di interessi ma di identità culturali, di senso di appartenenza, tenendo nello stesso tempo fermo il nostro ancoraggio all’Unione Europea, che si deve aprire anche a strumenti finanziari straordinari (Eurobond) per gestire i rischi che ne minano la sopravvivenza; deve prendere atto che la globalizzazione trainata dalla finanza e da un astratto umanesimo cosmopolita è entrata in un vicolo cieco ma, nello stesso tempo, vanno preservate le condizioni di un’economia di mercato aperta agli scambi multilaterali che consentono alle nostre imprese di esportare.
Deve, in sintesi, farsi carico che il recuperato primato della politica non si esaurisca nello spettro ideologico dell’interventismo dello Stato che già intermedia nel nostro Paese grosso modo il 50% del PIL.

La fuoriuscita dalla crisi richiede la mobilitazione concorde di tutti gli attori dello sviluppo, pubblici e privati, nella reciproca convinzione che il mercato, per quanto imperfetto, rimane il regolatore meglio in grado di produrre la ricchezza e distribuirla nel rispetto dell’autonoma organizzazione degli interessi collettivi coinvolti.
In conclusione, si può convenire che da questa crisi si uscirà diversi. Il come dipenderà dalle forze che metteremo in campo e dalla loro capacità di superare l’attuale crisi sanitaria preservando la vitalità del nostro sistema economico e democratico perché l’opera di ricostruzione che ci attende richiede l’impegno collettivo di tutte le istituzioni (scuola, imprese e ricerca) e dei singoli cittadini.

Immagine: Johann Heinrich Füssli, Scilla e Cariddi

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